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Una bomba chiamata rancore

CASERTA (Nando Astarita). Certe ferite profonde  non è che si possono dimenticare solo  perché paiono rimarginate. A volte, potrebbero sanguinar dentro, per anni o addirittura per sempre. Questo viene in mente leggendo, nell’ultimo rapporto Censis, che buona parte degli italiani cova dentro rancore,  malgrado l’economia del Paese sia ripartita, con tutto il buono che ne viene.

In fondo, questa storia del rancore non ci è nuova  perché,  se per fortuna esenti, lo percepivamo già tutt’intorno a noi.  Tuttavia, sentirselo dire fa male,  come mai avrebbero potuto altri dati,  per quanto negativi.  Già, perché vuol dire, che al di là  dei dovuti squilli di tromba per la ripresa economica,  c’è tanta gente che soffre e soffrirà chissà ancora per  quanto perché  il rancore, prima che agli altri,  fa male a chi lo cova dentro: lo cambia, lo consuma, gli avvelena i rapporti con gli altri, spesso perfino con chi ama di più. Insomma,  come sostiene Buddha,  il  rancore è  “come tenere in mano un carbone ardente con l’intento di gettarlo a qualcun altro: intanto sei tu quello che viene bruciato” .

E purtroppo il Censis,  al riguardo,  non ha dubbi: esiste oggi un diffuso rancore nel Paese anche perché  “non si è distribuito il dividendo sociale della ripresa economica e sussiste il blocco della mobilità sociale”. E così, oltre a soffrire del suo stato già eroso, quasi il 90% degli italiani di ceto medio teme il declassamento constatato che le opportunità di crescita sociale sono scarse.

Il rancore, quindi, nasce oltre che dalla consapevolezza di essere sconfitti per occasioni mancate, anche  dal  timore d’ impoverimento ulteriore per restare, ancora una volta,  esclusi dalla festa appena iniziata. E ciò  vale sopratutto  per noi sudisti,  visto  la ripresa,  per ora,  ci lascia  indietro.

E meno male che, questa volta, i commentatori più autorevoli non fanno cenno al solito vittimismo del sud. D’altra parte,  non bisogna essere chissà chi per guardarsi intorno e trarre  le conclusioni più ovvie. Una  generazione,  pressoché al completo,  è stata castrata delle più elementari aspettative, delle legittime speranze. Infatti, per lo più, i giovanni hanno fatto finora  collezione di porte in faccia o, peggio ancora, d’illusioni e di umiliazioni  per sottoccupazioni,  peraltro part time  e quasi sempre a scadenza. Chi non ha resistito  è emigrato nel mondo a far calli alle mani e, se laureati,  a  cedere ad altri intelletto e cultura che appartenevano a tutti noi. Inoltre, chi è rimasto, molto spesso,  ha  dovuto subire l’umiliazione  di dover contare sulla “paghetta”, anche se maggiorenne da un pezzo.  Paghetta che ha impoverito i figli dentro ed i padri nel portafoglio. I padri, un’altra generazione,  per lo più,  colpita e affondata. Per tanti di loro,  alla fine di una vita di lavoro, lo smacco di licenziamenti,  esodi, mobilità coatte. E poi, padri che, troppo speso,  hanno visto frustrata la legittima aspirazione che i figli avessero un futuro migliore del loro.  Ed allora, per tutto ciò, in quei  padri e in quei figli  come poteva non sbocciar dentro  il rancore e crescere sempre più anche perché concimato da tutto ciò che accade intorno di sprechi, ruberie, inefficienze, ingiustizie.  E se i rancorosi cercano  responsabili sanno bene dove trovarli,  visto che   8 italiani su 10 hanno sfiducia nella politica. Di qualsivoglia colore, naturalmente. Infatti, non basta dire che l’ha crisi economica era mondiale dato che, chi non ha l’anello al naso,  sa che non è stata dovunque uguale e, soprattutto,  diverse sono state le reazioni per fronteggiarla. Se l’organismo ė debole, già stremato, può bastare anche poco  a metterlo ko.

Se poi mettiamo nel conto che da noi  la politica  apparre sfacciatamente impegnata per lo più nella propria sopravvivenza  è ovvio che il rancore cresca dentro fino al punto d’aver necessità di sfogo, di decompressione,  come magma di un vulcano impaziente.

Allora, sarà forse quello sfogo a muovere le maestre che usano violenze ai bimbi all’asilo o gli infermieri agli anziani ricoverati in strutture sanitarie.  Sarà quel rancore che sfoga a muovere  le assurde risse agli stadi, gli scontri violenti fra polizia e manifestanti. E forse sarà ancora quello che muove gli  atroci fatti di sangue, talvolta così gratuiti ed inspiegabili da sembrare irreali,  oltre che a danno di sconosciuti, perfino  di chi, vivendo a fianco, dovrebbe essere soltanto  destinatario d’amore. Sarà infine quel rancore a dar forza insperata  ai populisti e a dar  vita a rigurgiti di estremismi. Insomma, sarà quel rancore a rendere oggi amara e difficile la vita per troppi italiani e ad annuvolare il loro domani.

Insomma, ciò che svela il Censis è grave e non da sottovalutare perché può essere  una bomba ad orologeria. E tanta brutta storia è accaduta per rancori troppo a lungo repressi.  Bisogna perciò che qualcosa intervenga. Ma non serviranno  mica parole dell’imbonitore di turno  per disinnescare questa bomba . Sarà necessario colmare  i divari, far recuperare  la fiducia in se stessi e la speranza  per il futuro con fatti concreti, con certezze. Insomma,  come conclude il  Censis è necessario “riaprire l’unica via che potrebbe allentare tutte le tensioni: la mobilità sociale verso l’alto”

Forse è per questo che, sul rancore smascherato,  si sono soffermati filosofi, sociologi, economisti, opinionisti di spessore ed altri ancora  na certo non abbastanza i politici, finora troppo impegnati negli accoppiamenti e schieramenti pre-elettorali.

Certo potrebbe far  la differenza se poi, quando comincerà sul serio la corsa, ci sarà chi prenderà di petto il problema.

Pubblicato il 04-12-2017

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